top of page
  • Immagine del redattoreUna Valeria

RIDO COSI' PIANGO




Questa frase di Alda Merini è quella a cui ho pensato uscendo dal cinema, quando si sono accese le luci sulla mia vita e su quelle che non conosco. Anche su quella di chi diceva ad alta voce tornando in macchina "questo è solo un pazzo". Io, invece, continuavo e vederci uno spaccato di solitudine spaventoso che non esiste solo nelle pellicole cinematografiche, ma ci circonda, vive forse in chi ci sta accanto, a volte sfiora anche noi, aleggia su una società alienata e analfabeta in quanto a empatia, comprensione e compassione.


E allora per onorare tutti gli Arthur insanguinati di dolore, ho pensato alle sue giustificazioni. A una madre psicotica che non lo ha saputo proteggere da abusi e violenza, un passato che gli è stato oscuro e taciuto che non gli ha permesso di sapere chi fosse, di definirsi, nemmeno di percepirsi esistente. Un’infanzia rubata e regalata, con un’inversione di ruolo devastate, a una madre che lui accudisce come lei non ha fatto con lui, mai. Questo lo ha fatto sentire invisibile dentro.

E fuori? Fuori un mondo di squali, di stronzi per il gusto di esserlo, di superficiali, di indifferenti, e di una società maldestra con gli ultimi, che li taglia fuori come taglia i fondi per il sociale, che reputa superfluo.

Che si fa?

Beh ognuno trova la sua fessura di ossigeno, e Arthur l’ha trovata nel non piangere. La mamma gli attaccò l’etichetta del felice con la vocazione del trasmetterla, e lui, così triste, l’ha seguita con tutto se stesso, ridendo quando avrebbe voluto piangere. Una risata stridula, strozzata, forzata, che era palesemente un rantolo disperato, un sos, il sintomo evidente di una voglia indispensabile di Amore. Che tuttavia nessuno ha colto, nemmeno le dottoresse. Nemmeno il suo idolo in tv. Nemmeno lui. Allora si è costruito una bella storia, di una vicina di casa che non lo deride, che lo trova simpatico e che gli vuole bene, che lo tocca, lo accarezza, lo consola e lo abbraccia. In fondo di questo ha bisogno ogni essere umano per vivere, nient’altro.

Nessuno c’era. Se non per calpestarlo, non ascoltarlo.

E’ così che si può impazzire.


Le uccisioni (a volte purtroppo reali) rappresentano l’atto simbolico del chiudere, del buttare via le persone tossiche e malvagie, della riappropriazione di sé come esseri esistenti e capaci di proteggersi. E questo, a volte, come in questo caso, comporta sottrarsi a genitori che tali non sono stati. Con un carico di dolore sovrumano ma necessario.


Arthur però danza, una danza delicata ma decisa, con passi sicuri e fieri, si prende spazio, quello che non gli è dato. Arthur sa discernere, sa provare affetto, nonostante non ne abbia ricevuto, e sa che la sua esistenza è stata una recita allucinata per mettersi addosso una faccia felice davanti al volto della sua più straziante sofferenza. Per onorare la missione consegnatagli dalla mamma, per provare a non precipitare nel vuoto, per provare a credere che potesse funzionare. Per scoprire ogni volta che no, non riusciva a ridere ma, cazzo, neanche a piangere!

Perchè lui è Joker e questa è la vita.



268 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

PANDEMIC

bottom of page