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  • Immagine del redattoreUna Valeria

GLI STRONZI GALLEGGIANO MA IO SO NUOTARE




Lui è un comico, l’ho conosciuto a Zelig con Bisio a fargli da spalla, poi l’ho visto in pellicola in film da ridere, da ridere a bocca aperta, quei film simpatici e leggeri che tanto servono a tutti per svagarsi davvero. Il penultimo, Quo Vado, l’avevo già trovato diverso nel suo denunciare la spasmodica e affannosa ricerca, tutta italiana, del posto fisso come fosse il Sacro Graal. Niente di più vero e triste. Niente di più divertente, però, se quel Zalone siamo noi, molto meno se, invece, lo guardiamo allo specchio. Ma al cinema è tutto buio e quindi solo grandissime risate.

Poi è arrivato il 1 Gennaio del 2020 e si sono messi tutti in fila a cercare sorrisi per iniziare l’anno con spensieratezza, tutti vogliosi di shakerare lo stomaco per digerire il panettone, convinti di aprire la bocca e spegnare il cervello: biglietto, jacuzzi di pop corn, comitive, famiglie, bambini, adulti, anziani e io, tutti trepidanti per l’inizio di Tolo Tolo, l’ultimo film di Luca Medici, conosciuto come Checco Zalone.

Finalmente inizia.

Finisce dopo 90 minuti.

E a chi mi chiede ma si ride? Ora che l’ho visto posso rispondere così: sì, si ride, ma usando le meningi. Diversamente non solo non ridi ma non riesci nemmeno ad assaporarne il gusto, perché il gusto di questo film è amaro, come lo sciroppo da far prendere ai bambini che glielo si confonde con il succo di frutta.

E’ amaro come il razzismo, che è il tema centrale del film, insieme a quello delle diversità, dell’accoglienza, del rispetto e dell’umanità.

Praticamente si ride per non piangere, a denti stretti, si ride di noi stessi in un mix di autoironia e autopena, di fronte all’effimeratezza della vanità italiana, alla carriera che segue tutti i percorsi tranne quello della meritocrazia, di fronte alle bombe, ai camion nel deserto e ai barconi in mezzo al mare così lontani da noi, dal nostro commercialista e dalla nostra crema viso antirughe, così vicini quando ne parliamo alle riunioni di beneficenza tra una tartare di tonno e un visone addosso o in qualche pubblicità progresso nella pausa pubblicitaria di Uomini e Donne, e poi così lontani quando ci sono accanto in cerca di una mano tesa e di tutta quell’accoglienza ostentata a parole nei salotti e mai praticata nei fatti. Quella che ha fatto morire e annegare, quella che ha fatto postare a chiunque la foto del bimbo con la pagella cucita sul petto, trovato sul fondo del mare, che non sapeva nuotare nell’acqua alta ma che ha saputo navigare nell’indifferenza senza nessun salvagente.

Perchè è questo il paradosso e l’ipocrisia di chi non ha mai capito la differenza tra essere razzista e non esserlo.

Qui Zalone insegna a quel bambino a nuotare, a stare a galla non come gli stronzi ma perché per il principio di Archimede resta a galla chi ci crede (cit.), e quel bambino alla fine urla felice “Tolo Tolo” mentre nuota e la sua testolina resta fuori dall’acqua, fiera e coraggiosa come chi in questo mondo ci vuole stare a dispetto dell’ignoranza e delle felpe verdi che urlavano “prima i padani” e ora “prima gli italiani” in uno slancio di pandemia che si sono raccontati essere buona. A dispetto di una politica allo sbando e di un’altra politica che non sa arrivare a tutti, l’arte lo sa fare. E dietro l’arte di questo film c’è la sceneggiatura di una combo riuscitissima, Zalone e Virzì, che arriva semplice ma pungente, simpatica ma irriverente, intrisa di tenerezza e ironia, tanta verità e tutta l’umanità che non si vedeva più da tempo.

Checco Zalone arriva addirittura al punto in cui colpisce e affonda tutti quando preferisce tornarsene in Africa piuttosto che attraccare a Vibo Valentia, in Calabria, e perché lo dice? Perchè con una battuta ha fatto capire come si possa essere vittime di razzismo a nostra volta, come italiani, come meridionali, esattamente come lui. Quella frase potrebbe essere stata pronunciata qualche tempo fa non molto lontano dalle stesse persone che hanno cambiato il loro logo da Lega Nord a Lega, a fingere di amarci, come Salvini con il sud.

E mi fa davvero sorridere a denti serrati quando ho saputo delle sommosse contro Zalone e il suo film, del sindaco di Vibo Valentia che non ha colto quanto quella battuta sia in realtà stata un abbraccio a lui e alla città, oltre che una denuncia sociale affinché si faccia qualcosa per il sud spesso abbandonato.

Questo film è veramente bello, e il regista davvero intelligente e geniale. E’ una denuncia sociale in un periodo di s.o.s. per il nostro mondo, per questa grande palla blu che abitiamo, distribuiti a caso sulle sua superficie; portati da una grande cicogna che non ci ha fatto scegliere dove nascere. E anche se lui ha raccontato ai bambini neri che la cicogna che li ha portati in Africa fosse un po’ strabica, io ci aggiungo che dev’essere sicuramente anche una cicogna forte e solare, che li fa cantare e ballare e sorridere di fronte a tutto.

Checco è riuscito nel film a far dire a una donna nera “Vaffanculo” a un uomo bianco, ma nella realtà la loro cicogna sa fargli dire una parola in disuso e sottovalutata, che qui tra urla e duelli con le American Express è stata dimenticata, ed è “Grazie”.

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