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IL BENESSERE JOVA

  • Immagine del redattore: Una Valeria
    Una Valeria
  • 26 lug 2019
  • Tempo di lettura: 11 min

Aggiornamento: 20 ago 2019


Ho 35 anni e sulla carta sono single, ma alla luce di svariati errori di valutazione, colpi di testa e tranvate, alcuni uomini li ho scelti bene e ci sto insieme da tempo. Uno di questi è Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti.

Incontrato nel 1994, all’età di 10 anni, sulla copertina del mio primo suo cd. Lui ne aveva 28 di anni, era in tv, in radio, scoprii che aveva altri sei album alle spalle e soprattutto scoprii che dopo ogni pezzo che ascoltavo avrei voluto fargli una chiamata. Ma non per dirgli “quanto sei bono” (cosa che era ed è), ma proprio per dirgli “cazzo, penso le stesse cose”.

Nel frattempo leggevo “Il Grange Boh”, il libro di Jovanotti in cui raccontava il suo viaggio in bicicletta tra Africa e Patagonia. E intanto crescevo e mi guadagnai la tappa del Festivalbar a Ostuni il 26 Giugno 1999 con mia cugina e mio zio che lavorava dietro le quinte. Mi fece fare un autografo che conservo ancora oggi incorniciato che manco una laurea!


Lui vinse con la canzone “Raggio di sole” e io mi feci comprare il biglietto per il suo concerto: il mio primo suo.

23 Novembre 1999 Palaflorio, Bari, accompagnata da mia zia Rosanna. Era nata la sua Teresa l’anno prima, e questo era il famoso concerto degli odori.

Ogni canzone un odore diverso, ricordo il Borotalco sulla note di “Per te” e il cappuccino mentre cantava “Gente della notte”. Qualcosa di unico, mai fatto prima, qualcosa che per la prima volta univa al senso della vista e dell’udito anche quello dell’olfatto, perché è così che la memoria immagazzina le emozioni: più sensi ballano e più i ricordi saranno per sempre. E quando l’ho visto e sentito cantare “Penso positivo” con un mega tamburo attaccato in vita, ho capito che quell’energia era quella che avrei voluto per me, da me e da chi mi circonda, che volevo un uomo con cui moltiplicare la mia vita e mai dividerla.

Ero iscritta al Fanclub Soleluna, ricevevo la rivista ogni mese, adesivi, gadget vari e informazioni su tutto. Ero adolescente e amavo come tale, ma avrei voluto l’analisi dei suoi testi a scuola, nell’ora di italiano e di storia e di filosofia, all’epoca esisteva anche e per fortuna l’Educazone Civica e lui per tante cose ha contribuito a trasmettermi conoscenza.

Leggevo, seguivo interviste, cantavo i suoi pezzi: era un uomo qualunque, normale, forse al liceo anche un po’ sfigato, di quelli poco leader e tanto bravoragazzo, di quelli che non trombano subito per intenderci, io ci vedevo il Buono, le cose pure, ma non per questo banali, né spente, né mai uguali a se stesse. Lui parlava di evoluzione, di diritti, di pace, di libertà, di uguaglianza, di amore, e di festa.

Nazionalpopolare? Democristiano? A una carrellata superficiale sì, ma invece era rock. Lo era perché buono è diverso da buonista, perché libertà è diversa da anarchia, perché amore è diverso da coppia, e festa è diversa da cazzata.

E’ nei dettagli che si scopre il valore di una persona e i suoi più autentici pensieri, e spesso quello che frettolosamente si pensa siano sinonimi, non lo sono affatto, anzi. Per me Jovanotti iniziava ad essere quello che mi insegnava a cercare il significato delle cose, a scegliere le parole, quello che incoraggia a sperimentare se stessi mettendosi alla prova, scoprendosi tanti e magari diversi e a coesistere in un corpo che balla: c’è soleluna dentro di me, c’è acqua e c’è fuoco, c’è sole, pioggia, terra e mare, c’è troppo e c’è poco. E io mi sentivo capita, e meno sola.

Che non siamo uno ma centomila, e non siamo solo la parte visibile della Luna ma anche l’altra, quella buia, che non per questo è male, ma ne esalta la sua luce, non siamo la nostra zona di comfort, non siamo il lavoro che svolgiamo, non siamo quello che dobbiamo essere ma siamo tutto e anche il suo contrario, anche se in pochi si concedono di scoprirlo o, peggio, di mostrarlo.

- Fare festa è una cosa importante -

E’ una frase di Lorenzo, è una frase mia, è una frase che vorrei appartenesse a tutti.

Credo si inizi perdere nel momento preciso in cui si inizia a pensare che la serietà escluda il divertimento; che questo sia prerogativa (forse) dei bambini, che associato a persone adulte dai lavori più disparati e socialmente connotati come seri e rispettabili, sia qualcosa che toglie, un meno sul compito, un errore rosso con un giudizio che fa rima con disistima.

Ecco è qui che io ci vedo l’inizio e la fine, il tripudio di un’educazione provinciale e misera, incastrata nel suo spicchietto di torta, miope nel suo riuscire a vedere solo il dito e mai la Luna.

Io non so come si diventi persone libere per davvero, come ci si svincoli dai luoghi di nascita e dai luoghi comuni, come si riesca a respirare l’altro e il nuovo come l’aroma del caffè al mattino, come si faccia ad allenare i neuroni verso un pensiero autonomo e svincolato. Forse avrà a che fare con i genitori, con i geni, con le esperienze, con i viaggi, con i confronti, con le letture, con la curiosità e l’informazione, avrà a che fare con la cultura e con la natura; forse sarà per tutte queste cose insieme che si diventa persone capaci di godere.

Sì, godere. Che non è un cazzo di peccato, non è una vergogna, non è una colpa, non è superficialità, no. E’ un fottuto diritto e un sacrosanto dovere.

E’ la nostra parte tribale, antica, primordiale; è l’espressione più immediata ed epidermica dello stare al mondo, e in questo risiede la sua importanza, la sua sacralità. Tutti noi umani abbiamo spinte che animano il nostro conscio e inconscio ma generalmente vi è una maggioranza che le reprime per il fortissimo impulso a conformarsi agli altri, a sembrare in tutto e per tutto uguali per essere accettati dagli altri, amati e rassicurati. E poi c’è una minoranza che se ne fotte. Sono quelli che guardano da un’altra parte, quelli che rischiano di morire ma grazie a Dio anche di vivere.

Questa gente serve all’Universo. I divergenti, quelli che vanno a conoscere l’ignoto, quelli che se ne fregano dei limiti imposti, sono quelli che ci hanno fatto scendere dagli alberi e smettere di mangiare banane. Il primo stronzo che ha sfregato due pietre in mezzo alla savana si sarà beccato le critiche di chi gli urlava che sarebbe stato sbranato dai leoni e ben gli stava, e invece oggi è il figo che ha permesso la nascita della civiltà, e tutti dietro a lui siamo arrivati alle navicelle spaziali.

Lorenzo è uno di quegli stronzi.

Si è addentrato in ogni savana artistica con quello spirito di chi in parte è consapevole di quello che sta facendo e in parte no, e quel no lo lascia scorrere perché al 50% un elefante può schiacciare un bambino camminando, ma al 50% no.

Lorenzo prima di essere un artista, uno che scrive e uno che canta, è uno che balla. Balla sulle cose, balla sulla vita che gli è capitata, sul mondo che abita, su quello che gli accade di meraviglioso e di doloroso, balla a viso aperto, al centro, occupa lo spazio, anzi, lo pretende, lo chiede, lo cerca, e lo condivide. Che come dice Chico Buarque con Sergio Endrigo, la vita amico, è l’arte dell’incontro. Ballare è una forma di espressione viscerale e liberatoria, shakera il sangue, ferma il tempo e gli ride in faccia; ballare è un esercizio di vitalità. Bisogna ballare sempre, appena si può, come si vuole, soprattutto soli davanti allo specchio, e bisogna diffidare da chi non lo fa; è uno dei pochissimi criteri logici da valutare per innamorarsi: il bello ma non balla? No, grazie.

Ha raccolto gli strumenti per farsi profeta delle feste, per diffondere il Verbo del divertimento come stato d'animo, li ha raccolti con la pancia mentre scopriva anche se stesso, li ha raccolti in anni di prove ed errori, perché il rischio è un’occasione e mai un deterrente. E questo fa di lui un uomo nato e cresciuto con il fuoco dentro, un uomo da ringraziare per l’inizio di una NUOVA ERA.

Sono andata a ballare con lui anche il 22 Luglio 2008 a Brindisi, il 29 Giugno 2011 allo Stadio della Vittoria a Bari, il 10 Dicembre 2011 al Mediolanum Forum di Assago e il 27 Giugno 2015 a San Siro a Milano. Mentre mi leggevo “Viva Tutto” il libro che ha scritto con Franco Bolelli che raccoglie il loro scambio di mail su temoni vari ed eventuali che ho sottolineato come se quello che leggevo potesse manifestarsi davanti a me.

Poi è arrivato il 20 Luglio 2019 e con lui sono andata sulla Luna.


Il ragazzo romano che vive a Cortona è diventato uomo, e io donna. Ha 53 fottutissimi anni e vola. Sto giro è sceso dall’albero per sfregare i granelli di sabbia e scoprire che producono propellente solido, quello che è in grado di sostenere la combustione anche nel vuoto, e ci ha portati, 40 mila per volta, nello spazio.

La missione si chiama Jova Beach Party e si è beccata la urla di chi dagli alberi non scenderà mai o dai macachi terrapiattisti che si aspettavano l’all inclusive del villaggio Valtur. E invece no. Jova Beach Party non è un pacchetto uguale a se stesso, non è un gelato confezionato uguale in Florida come in Australia, e non è la luna di miele organizzata dall’agenzia viaggi che ti fa trovare i petali di rose sul letto e il drink di benvenuto. Tutte queste cose esistono dalla notte dei tempi, già viste, riviste (alcune spero caldamente evitate), ma se uno rischia di morire tra i leoni deve essere per una causa epica, cazzo. E allora questa festa è scomoda, c’è il sole, il caldo tropicale di luglio e del sole delle 14, quando si aprono i cancelli e in 45 mila bisogna entrare. C’è spazio per tutti, soprattutto c’è spazio alla libertà. Ognuno può fare quello che vuole: fare il bagno, stare steso, in piedi, seduto, farsi una doccia, ballare, cantare, limonare, persino nulla o tutte queste cose insieme e tanto altro.

Tre palchi a triangolo isoscele con all’apice il palco con la sirena, colori accesi, musica, artisti noti e meno noti, e poi sabbia e mare. Nient’altro.


Si può mangiare, si può bere, ci si può mettere gratuitamente la crema protettiva messa a disposizione per tutti, si possono ricaricare i cellulari nello stand Tim e ci si può anche fare i tatuaggi con i Trasferelli anni 90 in questo villaggio arcobaleno che contiene vita, o meglio ancora, promessa di vita, perché è dalla potenza che nasce l’azione, quella combustione che fa partire i razzi e li tiene in orbita, proprio come noi, lì nel ventre del viaggio: Lorenzo ci ha fatto mettere piede sul nostro satellite sbarcando sulla Terra. Un viaggio colorato di potenza reale, tangibile e luminosa in cui ci ha preso e ci ha portato via con sé a ribaltare il mondo.

Questa festa è una dimostrazione di quanto questo posto che abitiamo sia ancora vivo e vigoroso, di quanto sia stellare e rock&roll volergli bene e credere nelle sue possibilità, di quanto lo schifo che serpeggia e che spesso ci vomitano addosso facendoci credere che tutto sia finito, in realtà è esattamente come i sabati in provincia che Jovanotti canta che sembra tutto finito poi ricomincia, come un sabato sera italiano che sembra tutto perduto e poi ci rialziamo.


Che si fottano tutti gli astiosi, i seminatori di odio e pessimismo, che finché il terreno si muoverà sotto i piedi, quei semi andranno dispersi, e quel terreno è delle tribù che ballano ancora, che non hanno mai smesso di farlo, che scendono giù scalzi e si divertono seriamente.

Il Jova Beach Party è pura adrenalina, è una figata atomica, è unico, mai visto prima, e come tutte le cose nuove acclamata e criticata come lo fu Galileo quando dichiarò che è la Terra a ruotare intorno al Sole e non il contrario. E’ imperfetta e per questo forte, è audace e per questo vincente, è spassosa e per questo vitale.

Lorenzo con questa proposta ha rotto qualsiasi schema, qualsiasi azione precostituita, si è stufato delle certezze che non portano nulla di nuovo, e ha inseguito l’improbabile, mosso da quella parola così abusata e travisata che è la follia, che non è affatto malsana, ma è lusso e genio e come tale va onorata. E coltivata.

La si può chiamare così ma anche libertà mentale va bene, rappresenta una martellata potente ai muri che dividono, che bloccano, e si va a collocare sulla frontiera che è il luogo più bello e stimolante da quando esistiamo sulla Terra: la frontiera è il luogo dello scambio, delle partenze e degli arrivi, delle trasformazioni e dei passaggi, delle contaminazioni e della conoscenza. E la spiaggia è la frontiera assoluta, è l’anticamera del mare, delle onde che trasportano, dei raggi che si riflettono, dei messaggi nelle bottiglie che vanno e vengono, è il luogo ancestrale e selvaggio che ci vuole scalzi e nudi, imperfetti e liberi, come quando veniamo al mondo. Con tutto da sapere, senza passato, con il presente più bello che c’è e il futuro da prendere a morsi, affamati di vita.

Ho preso un pullman dalla mia città di Altamura alle ore 10:30 del mattino che mi ha portato a Barletta. Dal parcheggio ho preso una navetta che mi ha portato all’inizio del lungomare. Poi a piedi fino alla fine, davanti ai cancelli. Alle 14:30 sono passata sotto il mega arcobaleno gonfiabile e sono rimasta in piedi per quasi 10 ore di fila. Ho ballato come non ci fosse un domani, ho sudato, cantato, ho riso tantissimo e ho pianto, mi sono buttata in acqua tutte le volte che mi veniva voglia, ho abbracciato le persone attorno a me, sconosciuti compresi, ho respirato gioia, mi sono sentita in pace con il Cosmo e unita a tutti i presenti e non, mi sentivo l’adrenalina anche nei capelli e ho provato commozione per la Bellezza di questo momento così intenso e denso ed estremo.

La luna era su di noi, ogni sera la vedo e appare con la sua stessa faccia, ma cazzo, i concerti servono ad avvicinarla. Credo che uno spettacolo sia ben riuscito quando si va via e ci si sente innamorati pazzi. Senza nessun criterio razionale, senza manco nessuno lì fisicamente da amare, senza un bel niente: innamorati pazzi e basta.

Così mi sentivo durante, e dopo, e ancora adesso a distanza di una settimana.

Al ritorno le navette erano decisamente impallate per gestire 45 mila persone, così sono tornata a piedi al parcheggio del pullman, credo qualcosa come 3 km che dopo aver saltato come un canguro per 12 ore, sembrano 300, ma li ho fatti. Muta per la stanchezza e per la felicità. Un viaggio per tornare nella mia città e poi la macchina che mi ha portato a casa e ho toccato il letto, e una posizione orizzontale che il corpo mi stava chiedendo per pietà. Il giorno dopo avevo un livido sul piede ed ero rallentata come le tigri sedate dello zoo, ma lo avrei rifatto immediatamente. Lo rifarei oggi, e ancora e ancora. Perchè al di là dell’anagrafe, la prerogativa di base per divertirsi è uno spirito giovane, sennò ci si prende un biglietto numerato con poltrona per un qualsiasi altro bello spettacolo.

Al di là dei gusti musicali o di una valutazione artistica, il Jova Beach Party è una questione di vitalità. È una festa in cui artista e pubblico si fondono insieme in quel momento ed è una delle cose più antiche del mondo, ma anche la più nuova, forse perché dimenticata; e per questo andava evocata come uno Spirito guida dal capovillaggio, colui che conosce le formule giuste per richiamarlo con ali fatte di musica. Ritmi africani, tribali e lui ballerino, cantante, autore, improvvisatore e dj. Connessioni, vibrazioni, onde ed energia, volume e ritmo, pezzi vecchi e nuovi, potenti e lenti. E’ stata un’occasione per scoprire cose nuove come gli Acido Pantera che sono qualcosa di esplosivo, un momento per ricordare la mia infanzia, uno scossone per sentire il Pianeta ancora mio e ancora forte, un bagno di Presente nell’ombelico del mondo a respirare l’estate e la Libertà.


Il Jova Beach Party non è nient’altro che una festa, ma una festa vera, una festa seria per chi ha imparato a prendersi poco sul serio, una festa dall’organizzazione complessa ma dal significato semplice, che ha a che fare con le radici, con l’acqua e la terra, e con la cosa che scotta più dei 50 gradi all’ombra: l’Amore.

Lorenzo ci ha salutati dicendo “Vi sono profondamente grato, buona vita a tutti”, e io vorrei ringraziarlo per aver pensato spesso con me la stessa cosa nello stesso momento.

Lui, la sua Francesca e la sua Teresa, restano per me uno dei desideri più belli da esprimere.



E nel frattempo sconfiggerò qualsiasi forma di freddo ballando.


 
 
 

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