GLI ORMONI SE NE FOTTONO DELLA SITUATIONSHIP
- Una Valeria
- 10 lug 2019
- Tempo di lettura: 8 min
Qualche giorno fa, sfogliando la Home di Facebook, mi sono imbattuta in un articolo dal titolo “Situationship, né trombamico né relazione seria, allora cos’è?”. Incuriosita dal nuovo slang inglese, lo leggo tutto. Poi l’ho riletto più e più volte nella speranza di non aver visto la fonte Lercio.it, invece era Cosmopolitan.com che ha sentito la necessità di dare un nome e una definizione a qualcosa che non è. Sì perché, se ho studiato bene, la situationship si può definire solo per quello che non è e suona più o meno così: NON E’ una trombamicizia perché questa c’è quando l’incontro tra due persone è puramente sessuale ma si è anche amici, NON E’ una botta e via perché questa dura solo one shot, e chiaramente NON E’ una relazione vera e propria.
Dunque questo termine, intraducibile come la parola “trimone”, indica una zona grigia tra due persone che provano un certo affetto che però non è amore e non è amicizia, in cui gli incontri, puramente a scopo sessuale, sono più o meno regolari ma mai pianificati né a lungo termine, in cui nessuno dei due può avere la certezza di poter contare sull’altro (per intenderci, se state morendo chiamate il 118), in cui la vaghezza nel linguaggio is the new black, in cui zero confidenze intime perchè significano vulnerabilità e la vulnerabilità significa coinvolgimento e il coinvolgimento significa sentimenti e i sentimenti significano responsabilità e le responsabilità significano malattia terminale, in cui fa parte del pacchetto dirsi e dire a voce alta quanto sia figo essere liberi di svolazzare senza girello di fiore in fiore, e in cui tendenzialmente aleggia la minaccia di noia letale oltre l’orgasmo proprio perché è bandita qualsiasi iniziativa di fare qualcosa insieme.
Ora, per essere esaustivi, va specificato che la trombamicizia è identica meno che per il fatto di essere appunto amici e quindi con un pelo d’erba di sentimenti in più dati in dotazione, ma generalmente in queste situazioni l’amicizia si va a fare una gita tra i ghiacciai dell’Islanda, quindi di fatto i due termini potrebbero sovrapporsi. Tuttavia, possiamo concludere che se due sono anche amici, per inerzia, ci si salva dal punto noia perché qualcosa, di straforo, insieme agli amici la si fa.
Assodato, dunque, che la trombamicizia sia due dita migliore della situationship, in entrambi i casi c’è però il colpo di scena: con il contatto fisico il corpo produce ossitocina e questa crea attaccamento, esattamente come quando si allatta un figlio, e l’attaccamento genera e attiva un circuito di sentimenti che si nutre e si alimenta e cresce. Tutto questo, sempre per la famosa ontologia, è più sviluppato nelle donne che negli uomini perché atte a generare e a garantire la sopravvivenza della specie grazie al magico fenomeno dell’attaccamento.
Infine, l’articolo è molto utile perché dopo aver spiegato questa altrettanto magica inculata, dà due epici suggerimenti per evitarla:
1. Incontrare anche altri partner sessuali contemporaneamente.
2. Chiudere la situazione.
Così si può scegliere se, nel primo caso, morire di overdose di ossitocina o, nel secondo, inserirsi nelle liste per il trapianto di organi.
Dopo aver ringraziato l’autrice Olivia Calò per questo bagnetto a Lourdes, ho pensato a quanto impegno e dedizione molti ci mettano nel non oltrepassare la linea gialla, nel raccontare e raccontarsi quanto siano distaccati e algidi e imperturbabili, a quanto qualcuno ci abbia impiegato tutta una vita a costruirsi un personaggio indifferente, strafottente, bullo al punto giusto, impermeabile e feelingsproof, e a quanto, poi, il suo corpo lo fotta così bellamente: proprio mentre lui/lei sta dicendo a lui/lei che non gliene importa nulla, l’ossitocina sta squirtando ovunque e li farà incontrare di nuovo. E di nuovo.

E poi mi sono chiesta: ma sono gli ormoni che ci fanno innamorare o ci innamoriamo e si producono gli ormoni? Che è un po’ come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina, ma la filosofia insegna solo a porsi domande, per le risposte ho consultato la scienza e così quello che so per certo è che ci sono una serie di sostanze messe in circolo dal nostro corpo quando ci piace qualcuno. La PEA è un neurotrasmettitore rilasciato dai neuroni nei momenti di euforia emotiva compresi quelli amorosi, e per questo è soprannominata la love drug. La sua struttura è simile a quella delle anfetamine e produce, quindi, gli stessi effetti: stimola il cervello a rilasciare beta-endorfina che ha effetti analgesici e dà una sensazione di benessere; aumenta la pressione sanguigna e i livelli di glucosio nel sangue, inoltre inibisce l’appetito, contrasta la fatica, migliora l’umore, favorisce la veglia e le funzioni mentali. Modula il rilascio della dopamina coinvolta nelle attività cerebrali che implicano la soddisfazione, la motivazione, la ricompensa e la gratificazione.
In tutto questo la PEA, a differenza delle anfetamine, non sviluppa né tolleranza né dipendenza, né produce effetti collaterali.
Poi ci sono i feromoni prodotti dal DHEA che creano un inspiegabile senso di benessere e comfort, e l’OSSITOCINA che stimola la secrezione di dopamina, estrogeni e gonadotropina ed è per questo soprannominata “l’ormone delle coccole”.
Tutta questa valanga di ormoni del benessere e neurotrasmettitori è anche tendenzialmente accompagnata da mancanza di giudizio, non a caso si dice “essere innamorati pazzi”. Quando siamo innamorati la corteccia prefrontale, dove nascono le decisioni più sagge e razionali, va in modalità sonno. E l’amigdala, che attiva le reazioni di difesa alle minacce, si dà malata. Il che fa saltare in aria tutto quel calcolo rischi/benefici e ci rende molto più inclini a correre rischi e basta.
Insomma, si diventa dementi, e incoscienti.
E’ una faccenda potente l’amore. Smuove le cose, ha il potere di stravolgere la gravità, di oltrepassare la fisica, di connettere l’improbabile, di far saltare gli schemi e sgretolare le paure.
Però, sul punto paure, qualcosa a volte si inceppa.
Questa meravigliosa trovata dell’amore, come tutte le cose umane e mortali, a na certa, del tutto a caso ma forse pure a cazzo, va in corto circuito, impazzisce come la maionese, va in tilt come Filippo Nardi senza le sigarette.
Dev’essere per i retaggi di un’educazione pavida dal punto di vista emotivo; goffa, impacciata e seccata con la fame di coccole che nasce quando nasce un bambino e dura per sempre, e invece spesso eccessiva con la fame fisiologica come se fosse l’unica esistente. Renè Spitz, uno psicoanalista viennese, condusse, per la prima volta, uno studio su bambini abbandonati in orfanotrofio seguendo il metodo scientifico sperimentale. Osservò 91 bambini abbandonati sin dalla nascita in orfanotrofio, nutriti regolarmente ma con scarsi contatti interpersonali. Le nutrici dedicavano qualche carezza ai primi della grande camerata in cui vivevano gli infanti ma per gli ultimi non c’era tempo e non si andava oltre le minime interazioni necessarie al nutrimento e all’igiene. Dopo 3 mesi di carenza di contatti i bimbi svilupparono una grave apatia, inespressività del volto, ritardo motorio e deterioramento della coordinazione oculare. I piccoli entravano in uno stato che Spitz paragonò al letargo: se ne stavano immobili in quelle nicchie che per molti divennero le loro tombe. Entro la fine del secondo anno di vita, il 37% dei 91 bambini, pur essendo stati alimentati correttamente, morì. Morirono con i segni clinici del marasma, una malattia provocata dalla carenza proteica tipica della denutrizione. Morirono i bambini che stavano in fondo alla camerata, che erano stati correttamente alimentati ma deprivati di interazioni … perché si muore per fame da contatto.
La paura del legame, dei legami, è quella che fa dire a neo genitori e parenti “non lo tenere in braccio che si abitua”, “lascialo piangere finché non smette”, che fa sedare i capricci con una merendina, con qualcosa che tappa la bocca per un po’ e nutre dove non ce n’è bisogno, che insegna così a non essere ascoltati, né capiti, né importanti. Insegna a farsela passare, a non dire, a non provare più bisogni, a colmarli con altro, a guardare al cibo come la dose da farsi per sentirsi nutriti fino alla prossima astinenza, o a privarsene completamente in segno di ribellione.
Spitz osservò che chi riuscì a sopravvivere non fu in grado di parlare o di camminare; spesso i superstiti non erano in grado nemmeno di rimanere autonomamente seduti. E in effetti si resta "invalidi" d'amore. Chi più chi meno, con le sue percentuali, con i suoi "assegni di aiuto", o con la sfrontatezza di chi erge una mancanza a virtù. E quest'ultimo è il semino che forse trova terreno più fertile nei nostri tempi moderni, nelle definizioni più estrose e convincenti di amore liquido, di situazione liquida, di amicizia liquida. Scambiati per inni alla Libertà, ostentati come medaglie al valore, camuffano un'incapacità di scegliere tra attrazione e repulsione, tra speranze e paure, che si riflette in una incapacità di agire.
Le "situe" che viviamo, che ci propongono, che subiamo, che ci piacciono, che sopportiamo, sono quelle di chi pensa che le cose si rivelino alla nostra coscienza solo attraverso la frustrazione che provocano: c'è una sorta di attenzione concentrata sulla soddisfazione che si spera le relazioni arrechino proprio perchè le si ritiene di base deludenti. E quando, invece, soddisfano appieno si ritiene che il prezzo di tale appagamento sia eccessivo e inaccettabile.
Al sud si dice come la fai e la fai sbagli, ed è veramente così. Le relazioni vacillano sotto l'ago dei pro e dei contro, tra sogno e incubo, e quasi sempre i due mondi coabitano anche se a diversi livelli di coscienza.
La solitudine genera insicurezza, ma altrettanto fa la relazione sentimentale. Cambiano solo i nomi da dare all'ansia.
Le relazioni sono forse le più inflazionate, sottili, acute e sgradevoli incarnazioni dell'ambivalenza, e proprio per questo sono al primo posto nell'agenda di tutti.
Tuttavia, essere innamorati prevede sì un sentimento potente rivolto verso qualcuno, ma quasi nessuno insegna che innanzitutto quel qualcuno siamo noi. Poi anche qualcun altro. E tutto quell'ostentato individualismo rampante, NON E' amor proprio, NON E' libertà e NON E' benessere. Ma sono uomini e donne disperati perchè abbandonati a se stessi, che si sentono oggetti a perdere, che anelano la sicurezza dell'aggregazione e una mano su cui poter contare e, quindi, ansiosi di instaurare relazioni, ma nello stesso tempo timorosi di restare impigliati in relazioni stabili e definitive perchè prevedono scenari apocalittici associati a questo termine, consci che questa condizione possa comportare oneri e tensioni che non vogliono nè pensano di poter sopportare, per poi continuare a sentirsi liberi di instaurare nuove relazioni e tornare al punto di partenza, in un viaggio in barca con un remo solo, un viaggio in tondo, un viaggio da fermi in movimento, un viaggio di ossimori, stereotipi e tachicardia chiamato situationship.
Quindi, che siate amici, meno amici, quasi amici, conoscenti, estranei, frequentanti, chiudenti o inizianti, che la vostra sia una trombamicizia o una situazione, una trombasituazione o una situamicizia, una cosa scialla, tranzolla, casuale, meglio se da brilli o una cosa dopomezzanottecheprimafatropposeria, una cosa che trombare sì dormire no, una cosa tra tante, una cosa tra niente, una cosa con il timer o una a cadenza settimanale come le riviste, una cosa che ti voglio bene ma non troppo ma neanche poco ma a volte per niente e altre forse tanto ma non te lo dico e non me lo dico, anzi me lo vado a dimenticare con un’altra/un altro che tanto domani ti rivedo, o forse no, forse sparirò per un po’ o quanto basta per chiedermi se ti voglio e non rispondermi mai, una cosa che fa abbracciare e bestemmiare, una cosa da mi manchi&vaffanculo, poco importa. Tanto l’ossitocina avrà già doppiato tutte le più ridicole definizioni. Quello che conta sapere, invece, è che le partite giocate in difesa probabilmente non fanno beccare goals, ma di sicuro non ne fanno fare.
Avere il cuore innamorato ci fa provare cose che la gente compra dai pusher, ci fa tagliare i capelli come fossero un sipario da sollevare per vedere lo spettacolo, ci fa festeggiare i compleanni come fossero dei mondiali vinti e non ci fa piangere perché da innamorati si ride in faccia alla vita come al suono della campanella dell’ultima ora dell’ultimo giorno di scuola.
E la cosa più potente che riesce a farci fare è prenderci cura del futuro, quando di solito mandiamo a puttane anche il presente.
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