ABBIAMO BISOGNO DI UOVA. CRUDE.
- Una Valeria
- 28 apr 2019
- Tempo di lettura: 8 min

Il genio di Woody Allen spiegava i rapporti uomo-donna partendo da questa barzelletta: uno va dallo psichiatra e dice “Dottore, mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina!”, e il dottore gli dice “Perchè non lo interna?”, e quello risponde “E poi a me le uova chi me le fa?”. E Woody conclude così: “Credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo-donna. E cioè che sono assolutamente irrazionali, e pazzi, e assurdi. Ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova”.
Ecco, io la penso esattamente come lui, e non poteva rendere al meglio l’irrazionalità ontologica e fisiologica del legarsi a un’altra persona.
Ma oggi non voglio parlare di questo.
Piuttosto, la domanda che mi si è accesa in testa tipo spia rossa della benzina con suono annesso, che inspiegabilmente supera qualsiasi decibel della canzone che stai cantando con finestrino abbassato e capelli al vento come se la tua utilitaria potesse attraversare la California andata e ritorno contando su un serbatoio di un Boeing 747, è stata questa: ma se in amore è vero che la maggior parte di noi ha bisogno di uova, in amicizia, invece, di cosa ha bisogno?
Mi sono ripassata l’asilo nido dalle foto, e credo mi interessasse più il ritorno di mamma degli amici; poi mi sono ricordata la scuola materna e avevo bisogno di punteruoli: avremmo potuto perdere più occhi di un Ciclope, ma il momento lavoretto-punteruolo resta uno dei top five di quel periodo.

Alle elementari avevo bisogno di barattare la mia merendina ma tutte disdegnavano la mia Melinda sbranandosi un trancino al cioccolato.
Alle medie avevo bisogno di amiche che non mi vedessero come la figlia della loro professoressa: ne trovai una, Isalba, e uno, Maurizio. Poi Maria, e con lei capii che avevo bisogno anche della musica.
Al liceo avevo decisamente bisogno del telefono fisso in camera: il Nokia 3310 arrivò insieme alla Filosofia ma serviva solo per giocare a Snake e fare 1 squillo a tutta la Rubrica prima di andare a letto per dire “Ciao”, 2 per dire “Ti penso”.
Università avevo bisogno di coinquiline, diventate poi cugine e alcune sorelle di sangue che vorrei aggiungere sullo Stato di Famiglia.
E poi il lavoro, la routine, i quasi 35 anni, ma qual è la parola che da sola può racchiudere il senso dell’Amicizia?
La verità è che tutto cambia, inesorabilmente. E forse pure per fortuna. Sta di fatto che non solo quello che siamo a 3 anni non lo siamo più a 33, ma nemmeno quello che siamo a 33 è uguale a quello che siamo a 35. E’ un fatto, e prima ci si fa pace meglio è. Cambiano i contesti, le condizioni, gli interessi, le esigenze e le priorità. E il concetto di amicizia si amplia, si rinnova, si aggiorna.
Se ci penso, a 8 anni bastava prestarsi la penna brillantinata per fare la cornice sul quaderno nuovo per definirsi amiche per sempre e scriverlo sul diario segreto, fino all’arrivo della penna più figa. A 20 l’amicizia è una pura questione di quotidianità, quella del gruppo che diventa famiglia, quella delle prime volte, delle cazzate, del mia madre non lo deve sapere. E che si resti in Provincia o si vada da soli a 700 km di distanza dalle abitudini e dalle sicurezze, è in questi anni che si comprende l’importanza del senso di appartenenza. E non basta la famiglia d’origine, che se ti va bene dà asilo politico e se ti va male lascia in mare aperto, né è sufficiente qualsiasi numero di chiamate al giorno con tutto quello che è lontano: va creato un nuovo ecosistema nel quale potersi sentire collegati ad altre persone, dal barista che inizia a sapere qual è il tuo “il solito”, al vicino di posto o anche vicino di frutta al supermercato che inviti a cena e che domani ti inviterà a un concerto.
Per chi è andato via, sono gli anni in cui si vorrebbe pietrificare il passato, ritrovarlo intatto a ogni ritorno, affrancarsi dal “lavoro” della socializzazione scongelando quel conforto emotivo di ieri; per chi è rimasto sono gli anni delle dosi massicce: più si è meglio è, l’imperativo è fare numero, sentirsi parte di questo numero grande, capace di compensare gli ormoni sballati, gli amori destrutturati, lo studio ansiogeno o il lavoro da esordiente, che fa sentire grandi senza averne nessuna voglia.
Ma è in questa zona franca che si cresce, all’improvviso; passando per svariati traslochi, inizi, fini, nord, sud, lutti e gioie. E a un tuo ritorno qualunque ti accorgi che tuo cugino si è sposato e quest’anno salterà il pranzo di Natale con te, che un’altra si è trasferita in Messico e la vedrai 1 volta in due anni, che i piccoli non lo sono più e ora si ingurgitano gli ultimi bocconi per scappare dagli amici proprio come facevi tu fino all’altro ieri, che la tua amica è incinta e un’altra lotta contro il cancro, che la coppia di zii che avevi preso sempre come modello si è separata nel peggiore dei modi, che la combo lavoro-figli per alcuni è devastante, che l’amico impacciato delle medie che ti chiedeva di copiare, ora ostenta una sicurezza di sé creata con i soldi, che crollerebbe al primo soffio di candelina di un 2enne. Che il come stai interessa sempre meno del che fai, e che il provincialismo lo leggi tra le righe degli abiti gessati che indossano, che la tua infanzia non è stata poi così rosea come l’avevi idealizzata, e che la tua forza silente è tanta e ha corroso anche il marmo del tempo.
Ti svegli che hai 30 anni, e non cambi più il cielo sopra di te per inseguire lo studio, ma hai scelto quello che vuoi guardare tutti i giorni, almeno per un po’. Ti svegli che suonano meno citofoni e più notifiche, e il tuo lavoro ti ricorda che se lasciassi suonare la sveglia solo un secondo di più arriverebbe la Siae a chiederti i diritti.
Ti svegli e sai di avere le amicizie datate, quelle che vincono per anzianità, quelle che ti conoscono con i brufoli o l’apparecchio, quelle che il problema più grave era il coprifuoco, quelle delle tinte fatte in casa tornando a scuola alla Enzo Paolo Turchi, e che sanno il tuo primo bacio. E poi hai quelle che conoscono il tuo ultimo, che sanno cosa ti rende felice ora o cosa ti manda al manicomio, quelle che ti chiamano perché riconoscono la tua canzone preferita, e che ti portano per la prima volta allo Stadio.
Le amicizie Partigiane che hanno fatto la Resistenza e persistono oggi come allora, e quelle recenti, edificate su un terreno anagrafico adulto e per questo più selettivo, che però hanno vinto gli ostacoli del disincanto e della sfiducia, che, anzi, l’hanno ripiantata con dedizione, quelle sbocciate per affinità, e pazienti con impegni e diversità.
Ma hai anche amicizie lontane, che magari senti solo per il compleanno, ma che hanno fatto un pezzo di viaggio con te e ti arriva il ricordo, ancora intriso di quel bene istintivo e solare, anche senza un mezzo di comunicazione che lo giustifichi tutti i giorni.
Hai quelle vicine ma lontane perché la vita ha deciso schede diverse, come quelle che ti fanno in palestra, perché tu c’hai da rassodare il culo e lei l’interno coscia, le cui differenti andature hanno fatto sì che la quotidianità diventasse una tantum, senza colpe, senza attriti, solo perché le cose cambiano e le ere si susseguono e a ognuno sta assecondarle sapendo che il bello resta.
Hai quelle vicinissime e presenti, quelle che conoscono il tuo armadio a memoria, quelle che si accorgono se hai un taglietto sul mignolo, quelle che conosci tutta la famiglia, che si ricordano quando ti arrivano le mestruazioni e che andarci in vacanza insieme è uno sballo.
Hai quelle ritrovate, conosciute quando si aveva il foglio rosa e tagli di capelli da copertina Postalmarket, ma che in fondo non hai mai approfondito, che gli eventi hanno sospeso ma che il tempo ha tenuto in orbita come satelliti, che prima o poi uno se lo fa un viaggio sulla Luna per guardarla in faccia. E scoprire che non è come sembrava, quelle macchie blu non sono mari, ma pianure basaltiche createsi dopo gli impatti con gli asteroidi, e che forse un po’ d’acqua congelata risiede sì, ma sotto i crateri. La Luna si mostra fuori come poi da vicino non è, la Luna è misteriosa come tutte quelle persone che pensi di conoscere ma che ti stai sbagliando, la Luna è quell’amico o quell’amica ritrovata che devi scoprire avvicinandoti un po’ di più.

E, infine, hai quelle che hai scelto di non avere più perché, a differenza dell’amore, in amicizia non dovrebbe vigere il criterio della compatibilità quanto quello dell’arricchimento, e tutto ciò che, invece, contribuisce a un’involuzione va lasciato andare.
L’amicizia va a fasi, si interseca nei nostri bisogni più intimi e a volte, per questo, può fare anche del male. Gli altri da sempre ci mettono di fronte ai nostri limiti e alle nostre insicurezze, alle paure che esorcizziamo con la difesa anche quando non serve, e investendo energie in battaglie sbagliate e inconcludenti.
E proprio perché credo nella Legge Universale dell’Attrazione, ieri, in questo turbinìo di pensieri, ho conosciuto un artista di strada con suo figlio, qui per lavoro e per passione. Gli ho stretto la mano e mi ha detto: “Devi sapere due cose: le parole sono importanti, si devono scegliere bene perché possono uccidere. E poi fai tutto, tutto quello che senti di fare per chiunque, ma non aspettarti mai nulla da nessuno”. Non sapeva nulla di me né io di lui ma sembrava mi avesse letta dentro. Ci ho parlato per un po’ e si chiama Rino, costruisce strumenti musicali, aiuta suo figlio, nato con un ritardo, a socializzare e a sentirsi capace suonando la fisarmonica, gestisce una comunità psichiatrica e sorride sempre. Mi ha detto che siamo indottrinati sin da piccoli dalle convenzioni sociali, dalla Chiesa, dalla storia che ci è capitata di vivere, dalla società che ci misura con il denaro e che educa al possesso, e che proprio in questa condizione, coltivare rapporti umani spassionati e veri è una rivoluzione. Volevo abbracciarlo commossa per quel momento di connessione spirituale con un perfetto estraneo che mi ha sussurrato di crederci ancora.

Ripercorrendo tutto so di aver avuto bisogno solo di me, ma non sarei chi sono se non mi fossi saputa circondata di Bene.
Perché la felicità sta nel possedere noi stessi per intero: si può vivere senza amore, ma senza Affetti è impossibile.
Così ho trovato la parola: se in Amore abbiamo bisogno di uova, in Amicizia abbiamo bisogno di uova crude.
Le prime sono destinate a schiudersi con il becco di un pulcino, le altre, non fecondate, sono buone da mangiare. Che vi piaccia fritto, alla coque, in camicia, strapazzato o sodo, l’uovo cotto è una buona compagnia: provatele tutte, non siate prevenuti: solo dopo aver assaggiato si può dire "blect"; e a volte va ammesso che abbiamo detto "brutto" solo per andare contro la mamma ma ci piaceva da matti, o abbiamo detto "buono" per farla contenta ma proprio non riuscivamo a deglutirlo. Ecco, il privilegio dei grandi è la Libertà di avvicinarsi alle cose e alle persone senza pregiudizi nè influenze altrui; e senza sottovalutare che anche quelle meno gradite hanno sfumature di bianco e di rosso uniche.
Ma crudo è l'uovo della carbonara e del tiramisù, è quello che ti devi fidare tanto, quello che ai piccoli non si dà perché non sono preparati a fronteggiare una salmonella, quello che se te la becchi vuol dire che hai rischiato, ma da adulto sai se ne è valsa la pena o se devi imparare a riconoscere le galline tossiche.
Quindi che ti piaccia il dolce o il salato poco importa: scegli bene le tue uova.
E tu sii l’uovo da bere al mattino, appena svegli, come quando non si aveva paura di niente.

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