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BUONA LA PRIMA

  • Immagine del redattore: Una Valeria
    Una Valeria
  • 8 apr 2019
  • Tempo di lettura: 4 min


All’alba dei miei 35 anni non ero mai andata allo Stadio. Mai fino a domenica scorsa.

Prima volta: Stadio Tonino D’Angelo di Altamura.

Squadre: Altamura – Nola

Come inizio non è un derby a San Siro, ma è stato un degno riscaldamento istruttivo che mi ha fatto capire quanto il concetto di gerarchia che conoscevo fosse incompleto e obsoleto. Ma senza bruciare le tappe, parto dall’inizio.

1. Prima sosta: bar di fronte allo Stadio per un cicchetto di Borghetti.

Che cos’è il Borghetti? Ecco, io ho avuto modo di conoscerlo quando avevo 19 anni; la nostra amicizia è stata breve ma intesa: io a lui ho regalato parecchia gloria, e lui a me ha regalato un pranzo domenicale in famiglia, sdraiata sul letto a contarmi i battiti del cuore scrivendo Testamento.

E’ qualcosa tipo un caffè fatto con il caffè al posto dell’acqua nella moka, è qualcosa tipo tutte le piantagioni di caffè della Costa d’Avorio in una bottiglia da 70 cl., è qualcosa tipo simulatore di Parkinson a Gardaland, è qualcosa che nonostante tutto la rivuoi.

Ma solo allo Stadio.

Nessuno ti offre un Borghetti dopo cena, raro che qualcuno lo compri al supermercato, rarissimo trovarlo nella dispensa degli amari accanto all’inflazionato Amaro del Capo o al ruspante Padre Peppe del sud. Ma se non lo bevi allo Stadio l’esperienza vale meno e dicono anche porti sfiga alla tua squadra.

Ugo Borghetti nel 1860 lo ideò e da quel momento ebbe grande successo di vendita negli Stadi italiani, e questa tradizione è intoccabile e ho capito che va onorata sempre e comunque.

2. Biglietto, ingresso, un gentilissimo “SIGNORA, devo controllare lo zaino” e direzione bar: “8 Borghetti, grazie” (eravamo in 4).


3. Scale e tre settori distinti sui quali ho avuto precise delucidazioni: il primo è quello degli Ultras: loro non si siedono, mai. E nessuno dovrebbe farlo. Loro sono quelli muniti di sciarpe, cappelli, felpe e bandiere della squadra, va bene qualsiasi cosa ma anonimi no. Hanno un direttivo artistico e un direttore d’orchestra per il coro, e aleggia un reverenziale spirito people friendly.

Il secondo settore mi è stato spiegato così: “Lì è più tranquillo, gente più grande, sai quelli che si siedono”, mentre il terzo e ultimo così: “E poi ce n’è un altro dopo, vabbè niente”.

Ecco, non aggiungo altro perché ho trovato questa spiegazione quasi sacra, un dogma inattaccabile; i settori dello Stadio sono come i gironi dell’inferno: vanno meritati e ci finisci per coerenza, mai per sbaglio.

Io mi sono accomodata in piedi nel primo, insieme ai miei amici, calorosamente invitati da un ragazzo Ultras conosciuto pochi giorni prima per caso, ma che ormai ci ha classificati come best friend giusti e old school. Il secondo complimento ancora non l’ho capito bene, ma dalla sua faccia mentre ce lo dice deve essere una qualità molto figa da avere per essere invitati tra loro durante una partita. Ma nella vita è proprio quando pensi di avere tutte le carte in regola per farcela che arriva la gavetta a ricordarti che sei ancora un bel nessuno tra gli ultimi arrivati: primo settore sì, primi posti no. Così il concetto di gerarchia mi si è rischiarato ancora meglio, e ho capito che eravamo graditi ospiti con il bracciale privè ma senza bracciale consolle.

“Valè state qui, sto io con voi, ogni tanto scendo più giù dagli altri, poi piano piano verrete anche voi”.


4. E in effetti l’attesa in ultime file è ben giustificata dal fatto che un coro è sincronizzato e armonioso per definizione, conosce accordi e parole, pause e riprese, ritmo e tonalità, mentre noi non sapevamo nulla, io di più. Il corpo della partita è anche il corpo dell’esibizione del coro e il momento di massima gloria del direttore d’orchestra: lui intona, gli altri lo seguono, sempre. Non me ne ricordo nessuno per intero, ma uno è iniziato alla metà del secondo tempo sullo 0-2 per gli avversari che intonava qualcosa tipo staremo sempre con te anche se perdi. L’ho trovato quasi un'Ode da mamma a figlia e forse la mia faccia lo avrà fatto capire, perché poi il nostro Ultras mi ha guardato e mi ha detto: “Valeria, noi Ultras siamo romantici”.

5. Fine primo tempo.

Bar. Borghetti.

No perditempo.

6. Sul sito del Caffè Borghetti c’è scritto sia un po’ il lucky charm del tifoso, pare infatti che abbia la magica proprietà di far segnare la tua squadra al 92° minuto. Io non lo so se ci sta pure un po’ di Paolo Fox dentro quelle boccettine da 3cl in plastica chiamate Borghettino, ma l’Altamura ha segnato a pochi minuti dalla fine.


7. Fischio di fine.

Gli avversari esultano con la loro tifoseria, ma al loro passaggio in campo verso l’uscita per gli spogliatoi, il nostro direttore ordina l’applauso: sentito, lungo fino all’uscita dell’ultimo giocatore, “dovevano salvarsi loro, noi in classifica stiamo bene, loro sono venuti da noi per salvarsi e noi li abbiamo aiutati, è giusto così”.

Per questioni interne vi era una compagine Ultras che non poteva entrare o non voleva entrare, ma ha piantonato l’Altamura dal primo marciapiede utile, cantando più forte per farsi sentire.

Voci di corridoio dicevano che la pace è alle porte e dalla prossima nessuna secessione: “Valè sono andato io a parlare, noi siamo per la pace”.

Ecco, io non sono esperta, forse mi sbaglierò, forse non sarà sempre così, ma domenica ho respirato aria buona e passione, che a qualunque cosa sia rivolta è sempre un buon ingrediente di Bellezza nelle cose e nelle persone.

Io ho la passione per le storie. Le cerco, le ascolto, le rispetto tutte, mi incuriosisce vedere quale distanza hanno da quella mia narrata, e quale vicinanza hanno da quella mia vissuta, mi piace il mistero di chi non le racconta a voce ma con gli occhi, e mi emoziona scoprire come tutte le storie, in fondo, mi insegnino sempre qualcosa.

Questa, per esempio, mi ha insegnato che allo Stadio c’è più meritocrazia che a un concorso pubblico; che la gavetta è ben pensata, propedeutica e ben retribuita di gioie rispetto a quella di un avvocato che fa fotocopie gratis per anni; che il vero maschio alfa non è un bruto selvatico, ma ha un animo romantico; che i tamburi sono cosa superata, una tifoseria moderna usa solo voce e mani; che gli stranieri si DEVONO salvare e nessun Matteo dice il contrario, e che se gli Hooligans hanno la birra, noi abbiamo il Caffe Borghetti, acquistato solo per multipli di due e di cui è sempre bene averne scorte in tasca.

Per capire il fuorigioco c'è tempo.


 
 
 

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