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SOCIETA' GOURMET

  • Immagine del redattore: Una Valeria
    Una Valeria
  • 6 gen 2019
  • Tempo di lettura: 7 min

In questa settimana mi sono ritrovata a parlare spesso di Milano con amici e conoscenti qui in Puglia, in particolare qui ad Altamura, un paesone di 80 mila abitanti dediti al lavoro, svegli e fattivi ma ancora decisamente, e purtroppo inconsapevolmente, close mind.

Mi sono accorta che tutte le volte, a fine conversazione, provo un senso di torpore misto a nausea, come quando in preda al masochismo alimentare assaggiate la patatina rustica San Carlo gourmet lanciata da Cracco con sopra un uovo di quaglia al tegamino, pancetta e senape in grani: una combo sacro e profano o forse solo sacrilegio, che non sai che cazzo ti stai mangiando e soprattutto perché.


I temi sono tanti ma ne scelgo tre a campione: uno simpatico, uno classico e uno complesso.

Partiamo dal classico: FARE LE COSE DA SOLI

Andare al cinema da soli, andare al ristorante da soli, andare in vacanza da soli, andare a un concerto da soli, andare a vivere da soli, sono tutte cose per le quali qui ti guardano con sospetto, con una certa diffidenza che fa rima con “questa è matta”, con sguardi compassionevoli se il singolo ha più di 30 anni o con derisione se ha l’età con ancora un 2 davanti.

E sono vani i tentativi di spiegazione che la solitudine è preziosa, che è una scelta temporanea di pausa dalla moltitudine per godere della propria compagnia, che può essere piacevole leggersi un libro facendo colazione da soli al bar, che alcuni film magari meritano un reverenziale silenzio anche dopo i titoli di coda, o che non si può voler assecondare i tempi di nessuno quando ti puoi concedere una vacanza all’anno o quando decidi di attraversare il mondo per attraversare te stesso, o molto più semplicemente per quella cosa chiamata autonomia che ti fa fare quello che vuoi fare anche se ad altri non va o sono impegnati in altro.

Quando vivevo a Milano queste spiegazioni non avevano ragione di esistere, la solitudine era la prassi che tutti sublimavano nel caos del weekend in cui diventi amico anche del tassista. Qui, invece, diventa faticoso comunicare ai parenti di voler andare a vivere da solo anche se non ti sposi, anche se non sei nemmeno fidanzata. Diventi la “ribelle”, “la pazza”, “l’emancipata” riuscendo perfino a dare a tutti e tre questi termini un’accezione negativa che io pur sforzandomi non riesco davvero a trovare.

Poi però, passata la fase svilente, ritrovo un senso ricordando a me stessa quanto la solitudine autosufficiente di Milano sia la sua delizia ma ancor di più la sua croce, quanto il suo individualismo esasperato l’abbia privata del core, di quanto il buon vecchio Bauman avesse ragione nel vedere una società liquida con amicizie liquide, amori liquidi, rapporti sociali sciolti al sole delle prime luci del mattino con persone che ti sono accanto con il timer, abituate ad essere sole e a pensare per sé. E allora mi ricordo che sono qui, in questo paesone, per la ragione più antica, più reazionaria e demodè che ci sia: la famiglia. E per famiglia intendo sia i rapporti di sangue più sgangherati e spesso radici di mali e svariati irrisolti, sia i rapporti scelti lungo il cammino con persone a cui vogliamo bene in modo autentico e genuino e che di fatto costituiscono un substrato sociale ed emotivo di cui tutti abbiamo bisogno.

Questi confronti mi ricordano che a Milano si è soli, anche in coppia, anche in trenta. Certo, ci sono miriadi di cose incredibili che compensano abbastanza bene questo vuoto chiamato libertà, tra cui anche la realistica possibilità di conoscere persone davvero interessanti, ma pur sempre con la consapevolezza che se non sei sulla mia stessa linea di metro o se ho la lezione in palestra o l’apericena aziendale e tu sei sola a casa in preda a una crisi epilettica schiumando dalla bocca, resti sola a casa in preda a una crisi epilettica schiumando dalla bocca e ci vediamo domani, quando IO posso.

Ecco, qui soli invece non si è mai. E la vita spesso va stretta come i pregiudizi, laddove invece vorrei un paesone in cui ciascuno possa conservare la propria autonomia sapendo che gli altri ci sono, non su Whatsapp ma nella vita.


Continuo con il complesso: APPROCCIO UOMO-DONNA

Rispetto a questo tema parto dagli assiomi trasversali a tutto il mondo: quando due perfetti sconosciuti si guardano e si piacciono quanto basta per attirare l’attenzione dell’altro, l’unico criterio in ballo è il sacrosantissimo aspetto fisico! Non c’è nulla da fare, non piacciamo a tutti e non tutti ci piacciono, e possiamo essere super in gamba o possono essere super intelligenti ma se non ci piacciono non ci piacciono e punto.

Ora, assodato che se uno vi si avvicina di certo non gli fate schifo, c’è da aggiungere che gli umani restano esseri singolari e labili, spesso psicolabili, e quindi tutto potrà trasformarsi nel suo contrario anche solo dopo un “Ciao”. Questa però è un’altra storia e io sono incline al divagare ma i post lunghi non li legge nessuno, perciò torno al punto. Le tecniche di approccio maschile sono tante e varie ma è indiscutibile che a Milano abbia verificato approcci più evoluti, più sottili ma non per questo inconcludenti, più acuti ed anche più divertenti, mentre qui assista ormai rassegnata ad approcci che vanno dallo stucchevole al ‘cegno’ senza passare manco per il banale. Ma non è ancora questo il punto.

Qualunque sia l’approccio sfoggiato dal maschietto più o meno alfa di turno, quello che mi lascia affranta è la teorizzazione sulla successiva reazione della femminuccia. Ed è di questo che mi è capitato parlare spesso qui, e tutte le volte la sensazione successiva non è nemmeno la patatina con le alici marinate al pepe rosa e lime, ma più simile a una trippa andata a male.

“Mai darla al primo appuntamento”

“Mai nemmeno al secondo”

“Mai per almeno un mese”

“Tiratela”

“Fingi indifferenza”

“Il primo mese deve chiamare sempre lui”

“La donna non deve fare il primo passo”

Potrei continuare ma mi sta venendo la febbre, cioè ma dico io ma veramente?

Figuriamoci, io la biologia non me la scordo mai e so bene che l’uomo è fatto per inseminare più donne possibili (perché può) e la donna invece per sceglierne uno e basta, il migliore possibile geneticamente, almeno per i mesi di gestazione. Esattamente come succede tra i pavoni. Perfetto.

Però da quando il fine ultimo degli accoppiamenti non è più la mera riproduzione ma la piacevole compagnia di due persone che possono stare insieme anche senza figliare, l’uomo ha continuato a seguire la sua biologia, mentre la donna, libera dall’incombenza, ha iniziato a scegliere il peggior pavone della fattoria. E questo è un dato. Ma sarà libera di sceglierlo nel modo che le pare, sia che si trovi a Tokyo sia che si trovi nel paesone di provincia?

Io trovo offensive le frasi slogan che si dicono le amiche tra loro dimenticandosi di essere donne a loro volta, ma trovo sconcertante la loro aderenza alla realtà nel pensiero diffuso maschile nel paesone di provincia, secondo il quale sul serio una donna adulta, matura e capace di intendere e di volere abbia meno valore di un’altra che temporeggia strategicamente per una settimana dopo un’avance. Tralasciando il fatto che la stessa possa risultare una santa a colui che lascia attendere ma nell’attesa viversi la sua vita tra i pavoni di altri giri, ma si esaurisce davvero tutto qui?

Con una certa frequenza ho saputo di storie d’amore belle e durature nascere da Tinder, con altrettanta incidenza ho visto storie nascere dopo il primo incontro tra i fumi dell’alcol e nebbia, ho visto altrettante storie sbocciare dopo anni di rapporto occasionale, così come ho visto storie nate da mesi di sudato corteggiamento maschile e gioco delle parti femminile che si sono schiantate contro il muro della noia o, perché no, alcune anche della felicità a vita, ma il punto è che non è questo il punto.

Vorrei vivere in un paese dove fosse ormai chiaro che la differenza la fanno le persone e ancor più le personalità, che i tempi delle coppie combinate con dote sono passati, che l’amore si sceglie e non nasce da uno sguardo. Che da uno sguardo invece può nascere attrazione e dall’attrazione nasce il desiderio, e che questo desiderio venga concretizzato una o cento volte (e benedetti gli uomini che a. sanno comunicarlo, b. sanno concretizzarlo, c. sanno portarlo a termine bene) e che questa una resti una o questa cento resti cento o si trasformi nei suoi multipli è questione di conoscenza, di affinità, di chimica, di testa e pancia, o spesso solo di timing senza scomodare altro, ma in ogni caso è frutto della voglia di due persone di scoprirsi condividendo più cose possibili e parlando oltre che ansimando, ma facendo entrambe sempre con onestà e buon gusto. Ma prima di ogni cosa con l’onestà intellettuale che permette a tutti di affermare con chiarezza che il valore di una donna non sta nella latenza di tempo con cui si concede ad un uomo ma, piuttosto, nella latenza di tempo con cui si accorge che l’uomo che ha di fronte uomo non è.


Concludo con la simpatica: CLIMA E ACCESSORI

Se a Milano piove e sei a piedi, ti porti l’ombrello, lo apri e non ti bagni.

Se ad Altamura piove non sei a piedi.

Ma se sei a piedi cerchi un passaggio anche dal trisavolo mai visto;

se continui ad essere a piedi sei sfigato;

se continua a piovere non ti porti l’ombrello perché non lo possiedi perché se lo possiedi sei sfigato;

quindi o hai un cappello (meglio un cappotto con cappuccio) o hai un porticato fai da te in borsa, o fai una storia su Instagram su quanto sei ganzo a bagnarti sotto la pioggia, o, per i più pigri, resti a casa.

Ma, se malauguratamente piove e tu hai un ombrello e lo porti con te e per giunta lo apri e cammini a piedi magari anche da solo, ecco lì, in quel preciso momento, la tua vita è bella che fottuta e sarai bullizzato a vita per i secoli dei secoli.

Dopo questa di solito rido, tantissimo, di gusto, perché davvero non c’è nessuna spiegazione: è così, come la Trinità, punto.

Alla fine a me piacerebbe che i milanesi avessero il nostro senso dell'ospitalità e gli altamurani il loro senso civico, che entrambe avessero il mare, e che poggiassero sulla stessa patatina rustica, farcita con una julienne di Woodstok marinata nel mar Adriatico, granella di conchiglie della Valle d'Itria e spruzzata di aromi di Spagna q.b.

Ciao Cracco, impara.


 
 
 

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