"SALVERO' IL POCO E IL NIENTE"
- Una Valeria
- 2 lug 2018
- Tempo di lettura: 3 min

Me ne sono accorta quando mi sono accorta di non vedere più i colori.
Guidavo verso casa, di rientro dal lavoro, la musica quasi a palla che un po' sovrasta i pensieri e tanto mi piace, la strada che ormai percorro a memoria, senza mai concedermi deviazioni; andavo dritta, con una fretta da Bianconiglio, di quelle che ti fanno perdere la Bellezza intorno e la vista dentro.
In questo stato di lobotomia, mi arriva un messaggio di un'amica: “Sono le 19 e c'è la luce, adoro.”.
Leggo, guardo fuori, come se il parabrezza fino a quel momento fosse stato un sipario di velluto pesante, ed era vero.
C'era ancora la luce, solo che io non me ne ero accorta.
Proprio io! Che vivo la fine dell'inverno come qualcosa di simile al rigore di Fabio Grosso nel 2006, non me ne ero accorta.
Perchè dentro era inverno. Il fottuto inverno.
In questa modalità stile post operatorio, reparto infartati, non imbattetevi mai in Guido Catalano, perché ha il superpotere di sapere con precisione quale delle sue poesie vi distruggerà meglio. Ovviamente quel giorno a me è successo.
Era due mesi fa, ma chissà da quanto non li vedevo, non li riconoscevo. Era tutto tipo un papavero nero, tipo il sole nero, tipo l'umore nero, tipo il buco nero. E poi, mentre pensi che non torneranno più, che a te non toccherà più vederli, e mentre impari a non soffermarti più su niente e soprattutto su nessuno, sbam, tornano. All'improvviso.
Più vivi che mai.
Mercoledì al tramonto il sole era enorme, basso e vicino; era arancione intenso, non pastello scialbo, proprio arancione Super Santos. Lunedì in palestra ero viola, che gli squats sono torture a pagamento. Domenica il mare era celeste, azzurro, blu, bianco. Ho comprato una maglietta rossa. Ho cantato e ballato sotto la doccia, che credo sia qualcosa di colore giallo.
E sono tornati anche gli odori, e le deviazioni dal percorso, e la voglia di soffermarmi sulle cose.
E soprattutto sulle persone.
Oggi però ho fatto un refill di pianto, a gradire.
Perchè il disamore per se stessi è duro a morire, e fa lo stronzo proprio quando sente odore di new entry. Che poi ora sono più new che entry, ma a nessun new avevo mai permesso di attirare la mia attenzione, e a nessuna parte di me avevo mai permesso di distrarsi dai ricordi.
E oggi è il mio compleanno, che a me non me ne frega niente ma me ne frega. Che lo vorrei festeggiare ma chissà se riesce bene, e allora non festeggio ma chissà chi se ne ricorderà, e non esco affatto ma è così bello condividere, e poi tutto l'affetto mi commuove troppo e piango, e se mi perdo nei ricordi, maledetti, e allora lascio i miei amici sotto casa con la torta per me, non scendo, non ci riesco; e non si fa così, me ne sono pentita perché sono fortunata e stupida, perché al martirio dei ricordi bisogna ribellarsi. Ché non è pensandoli ossessivamente che ritornano a comando alla Giucas Casella con le galline.
E quel briciolo di amor proprio che ho mi ha sussurrato timidamente che meno male a Cristo alcuni ricordi restano tali contro ogni nostra irresponsabile speranza, contro ogni nostro indegno tentativo di rianimazione, contro ogni nostro machiavellico stratagemma di auto-sabotaggio.
E c'ha ragione.
Ma il punto è che quando ci derubano la fiducia non è come ritrovare una Punto. Ci vuole una dose massiccia di compassione, che non è una parolaccia; e poi pazienza, come non ci fosse un domani.
E due sono i filtri tra cui scegliere per guardarle: quello seppia, che le fa giallo ittero con un piede nel Mesozoico e uno nell'implosione, o quello clarendon che le fa molto zia Yetta e zia Assunta, stagionate in multicolor, complici e con spiccate qualità di analisi e problem solving, illuminate da paillettes e buon senso, e senza la spocchia di chi ha già vissuto.
Ed è mentre loro due banchettano nel salotto della nostra aorta che la vita accade.
E ce ne accorgiamo.
E bisogna essere benevoli con gli sgambetti della malinconia, con le piogge estive e persino con il buio, perché non conosco nessun parto senza un travaglio e nessuna nascita senza un pianto.
Espandete gli alveoli,
fate entrare l'ossigeno,
piangete.
State respirando. Siete nati.
Siete rinati.
E passerà,
come passa un sabato. (cit. Cosmo)

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