top of page

DIMENTICATO A MEMORIA

  • Immagine del redattore: Una Valeria
    Una Valeria
  • 17 mar 2018
  • Tempo di lettura: 3 min


Athazagorafobia.

Sì, era la sua. Lei aveva paura di essere dimenticata e di dimenticare.

Poi ne aveva altre, ma questa è un’altra storia.

E lui? Lui aveva paura di ricordare.

E per questa cosa non c’è nemmeno un nome, ma possiamo chiamarla alcol per comodità.

Sono tipo Leonard Shelby e Hank Moody nella stessa trama e, lo so, sarebbe stata una combo troppo audace anche per uno come David Lynch, quindi niente nominations e passiamo direttamente alla statuetta dorata di diritto.

Avete presente la scena di Titanic in cui Rose sente le scialuppe tornare ma non ha voce per urlare perchè è mezza ibernata, loro non la vedono, si stanno allontanando, e lei stringe la mano di Jack morto? Beh, lei si salva solo perchè dà un bacio a quella mano e lascia andare, e nuota fino a trovare un fischietto appeso al collo di un povero cadavere galleggiante, e tante care cose Jack! Perchè vi dico questo? Vi dico questo perchè lei non l’avrebbe mollata quella mano e sarebbe morta nell’oceano. Ma come si fa ad essere così stupide?! Intendo come lei, non come Rose, che quella si sa anche leccare l’indice per girare meglio pagina, e a 94 anni se ne va girando sugli elicotteri che atterrano sulle navi e ha i capelli senza doppie punte. Quella.

Lei invece di anni ne ha 30 e un elicottero l’ha visto solo nei film, su una nave ci è salita per mezza giornata mentre era ancorata nel porto, i suoi capelli hanno punte esagonali e l’indice se lo lecca solo se mangia le Fonzies.

Lui amava la russa trasparente che si occupava della lista dei suoi ricordi: – fottere il dolore.

Così sta alla grande fino a esaurimento postumi.

A lei non sarebbe bastato un corpo di tatuaggi per tutto quello che non voleva perdere; riempiva fogli, e nel dubbio lo ripeteva a voce come la storia alle Medie la domenica pomeriggio quando sai di essere interrogato alla prima ora del lunedì. Non c’era nessuno in giro a quell’ora ma continuava a mettere le frecce per svoltare, anche se in realtà girava di rado, preferiva procedere dritto, fedele ai muri e agli stop. A uno dei tanti pensò alle giraffe: collo alto sei dentro, collo basso sei fuori. Dev’essere stato difficile per le bassine farsene una ragione, che certe cose non le vuoi capire se ti gelano il sangue.

Come quando non sai nuotare e un tuo amico sta annegando, come quando soffri di ailurofobia e ti regalano un gatto, come quando ti chiedono di scrivere un tema sulla mamma e tu non la conosci, come “A traffic jam when you’re already late, a nosmoking sign on your cigarette break, it’s like ten thousand spoons when all you need is a knife” e cara Alanis, non è affatto ironico. E’ triste.

E lei fuori non ci voleva andare, e si odiava. Perchè voleva ancora aspettarlo a casa, e trovare parcheggio, e pensare “che palle quando non mangi”, e sentirsi gelosa, che un po’ la fa sentire viva e un po’ la fa sentire fessa, e morire di caldo e vederlo spettinato.

E per questo si odiava.

Lui era tempesta e deserto, amalgamate bene a creare un impasto cremoso, ego per lievitare e fiducia al bisogno. Zucchero a parte. Aveva un amico che aveva perso tutto e lui non sapeva parlargli di niente, credeva nell’odio con ironia, ambiguo come un sorriso in una foto di famiglia, sempre in divieto di sosta quando arriva e strisce bianche quando va via.

Che poi è tutto questione di dosi, come per le torte, e lei usava le ricette delle nonne del sud e lui quelle di un pescatore islandese. Ma erano due spiriti uniti. E come per tutti gli spiriti uniti, il legame sopravvive anche alle bugie dell’indifferenza e, incontrandosi da soli, non ci sarà alternativa che toccarsi e annusarsi tra istinto e sudore e arrendersi al tempo, bulimici di rimpianti. Intanto lei correva verso il dolore più silente, divorando emozioni e divorata dal vuoto che le ha tolto tutte le parole tranne queste:

“Siamo fragili. E coglioni.”

 
 
 

Comments


bottom of page