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ABSTRACT DI ACQUA SALATA

  • Immagine del redattore: Una Valeria
    Una Valeria
  • 18 mar 2018
  • Tempo di lettura: 7 min

Il 26 Ottobre 2011 mi sono trasferita a Milano.

Per amore.

Sì, la verità è questa e no, non me ne sono pentita, lo rifarei.

Avevo una valigia alta quanto me con 27 anni strizzati dentro e niente che potessi chiamare Casa.

C'era via Farini e il tram num. 2, una scuola da iniziare e un'altra da vivere.

La valigia più pesante era quella delle aspettative, dell'entusiasmo, dei progetti. Per questi c'era una città a contenerli e una metà di divano letto scomodo.

Per tutto il resto c'era un'anta di armadio.

Mi regalò una scatola con su scritto 'Ma boite à bijoux' e da quel giorno quando la guardavo ci intravedevo Casa. Era la prima cosa mia. E lo è stata per 9 mesi.

Una gravidanza.

Che tu sei felice ma hai le nausee e ogni tanto vomiti, e ti senti un boiler tra gli spaghetti, con gli ormoni in gita che strimpellano le lacrime.

E' nata il 12 Settembre del 2012 in via Savona 90. 60 mq, 3 vani, 1 balcone e l'amavamo follemente.

Quella era La Casa. Quella che quando giri l'angolo e imbocchi la strada ti si rallenta il battito cardiaco, quella che quando giri le chiavi nella toppa ti si allarga un sorriso, quella che quando parti la pensi, quella che ci vuoi fare l'albero a Natale, insomma avete capito, quella!

Quasi subito ci ho perso un polpastrello, rimasto spiattellato sul paio di forbici che ho usato al contrario, ma il poster storto che svetta in cucina è degno del mio mignolo.

Più avanti ci ho perso la leggerezza, poi la fiducia, la serenità. Insieme a ettolitri di acqua salata dagli occhi.

No, non sono una martire, ne ho combinate anche io. E' che quando si gioca alla guerra si perde sempre. Segnatevelo.

Game over.

Dal 15 Marzo del 2014 ci ho perso il sonno e la dignità. Insieme a ettolitri di acqua salata dagli occhi. Anzi, quelli li ho persi anche fuori, in metro, sul tram, sui marciapiedi, al cinema, vedendo la navetta che arriva in centrale dall'aeroporto, sul 4, passando davanti ai televisori del Mediaworld, all'Esselunga, mangiando i popcorn, vedendo una RedBull, quando vedevo uno zaino militare, alla coda per il Tunnel, in via Manzoni, sulla Frecciabianca, vedendo le magliette a righe, aprendo skype, quando qualcosa mi faceva ridere e la tenevo per me, quando il t9 mi completava le frasi ed era stronzo, allungando le braccia nel letto, quando si bloccava il carrello della spesa sui binari, quando surgelavo la carne e quando mancavano le merendine e, sì, forse ettolitri non è la misura giusta.

Vediamo cosa non ho perso ... beh direi la pazienza, la perseveranza, la resistenza, la tenacia, la speranza, quella brutta stronza che non dorme mai, e la fede. Sì la fede, come quella delle vecchiette che fanno la Novena: è l'unico termine religioso che conosco e non so nemmeno bene in cosa consista, ma insomma amano qualcuno che non c'è. Che Dio, diciamocelo, è il primo uomo assenteista! Ma questa è un'altra storia e qui ci potrei perdere un posto in Purgatorio, quindi lasciamo stare.

Ora, vi ricordate le valigie dell'inizio? Ecco, invertite gli spazi: le ante dell'armadio sono diventate sei (poi due ma non importa); cassetti, comodini, librerie, mensole, cassettiere: i miei nel frattempo 31 anni ci stavano perfettamente comodi.

Quell'altra invece l'ho dovuta rifare e chiudere, e avete presente quando partite belli carichi che vi siete seduti sopra la valigia per far entrare tutto però poi vuoi non comprare niente durante il viaggio, così anche solo per ricordo? E no, siamai! Ecco quindi io mi sono presa altri desideri, manciate abbondanti di entusiasmo, sacchi di progetti, dosi massicce di immaginazione, svariati carrelli di futuro e piccoli souvenirs d'amore, così a gradire.

Mo metteteli voi, insieme a quelli della partenza, in quella stessa valigia che ha la forma di due curve, una verso destra e una verso sinistra, che si incontrano in un punto al centro più in basso. Provateci.

Io vi osservo.

Eh sì, succede che dopo averli rincorsi tutti, là dentro non ci entrano più vivi, vanno proprio soppressi, come i cani terminali per non farli soffrire, ma è atroce, lo so. E poi alla fine, qualcuno è sempre riuscito a scappare, per puro istinto di sopravvivenza, e ci inciampi su proprio mentre stavi per meritarti di crollare. Perchè certi sogni, per quanto siano ammaccati e tumefatti, ti restano appiccicati addosso come le pieghe del cuscino sulla faccia la mattina. Restano i tuoi, e farne a meno diventa un handicap con cui convivere, dritti nella lista degli invalidi di vita.

E si ricomincia.

Ci vuole tempo, il tempo degli anni che passano e dei minuti che invece no.

Ora, se mai ci siete riusciti, fatevi un applauso e un bicchiere di vino rosso, ma tornate qui che non è finita.

Bisognerà imbarcarla questa valigia e mo viene il bello: per dove?

Beh vi risparmio la fatica di pensarci che sono altri tot mesi e vi dico subito che una destinazione non ce l'ha.

Dai procedete pure al secondo bicchiere, ve lo meritate tutto.

Che si fa? Si aspetta.

Diventerete dei cultori dell'attesa. All'inizio sarà fine a se stessa e sarà straziante, vedrete tutto mezzo vuoto partendo dal letto, passando per il frigo e finendo con quel muscolo involontario che ha la punta spostata a sinistra. Poi però vi garantisco che prende la forma di qualcosa di sensato, anche se deforme o astratto ma un senso soggettivo l'avrà. Questa attesa è la parte migliore ma si capisce solo alla fine.

Questa parte della mia vita in sala d'attesa si chiama Conoscere Milano.

Milano non ha bisogno di nessuno. Basta a se stessa.

Milano non è chi sei ma cosa fai.

Milano sono tante solitudini che pogano. Però fashion.

Milano è solo oggi.

Milano non prende in braccio, ti pesa e ti dà un codice a barre.

Milano costa tutto caro e poco vale.

Milano non è “Che lavoro fai?” ma “Che lavoro fai veramente?”

Milano è asfalto e competizione, nebbia e conoscenti. E' l'amaro sui denti e fumo negli occhi. E' “Mi servi? Allora mi importi”.

Milano sono le monoporzioni ma ancora meglio i digiuni.

Milano è “Non ho tempo”.

Milano sono gli eventi anche dal tabaccaio.

Milano è "Mi dia mezza brioche vuota, grazie".

Milano è Satamorte&tatuaggi, 1994&groupie, cool&veg, barbe&likes, serate&Gps, consolle&tag.

Milano è voce del verbo 'ci becchiamo'.

Milano è un tipo, la tipa, delle robe, una situazione, preso male/preso bene, non ci sto dentro, ti tiro in mezzo, stai sul pezzo, spacca di brutto. Se sei swag le capisci, altrimenti ciaone.

Milano non è tanto i clubs ma la gente dei clubs, che se sei solo la gente non conti un cazzo.

Milano è dal lunedì al venerdì pomeriggio in cattività e il weekend in hangover. Se non timbri cartellini puoi essere in hangover dal lunedì alla domenica. L'assegnazione del “Che culo!” è a discrezione del lettore.

Milano se non ti vedono nei giri non esisti. Dura lex sed lex.

Milano se non hai il pass non vali un cass.

Milano è design week, fashion week, salone, fuorisalone e fuoriditesta.

Milano sono “Oh quella è famosa su facebook", "Quello è forte su Instagram”, "Prende almeno cento like a foto". Se al Monopoli vi gira viola siete ricchi, è chiaro.

Milano è Matrix. E tutti scelgono la pillola blu.

E per chi non se lo ricorda o, peggio, non l'ha visto, è autorizzato a fermarsi qui e caldamente obbligato a vederlo.


E di nuovo no, non sono una martire. Nè una masochista. (Beh forse questo un po' sì)

Milano in primavera è uno spettacolo a colori, una passeggiata in Darsena allarga l'orizzonte, i Navigli a Giugno allungano la vita, il Duomo fa bene agli occhi, il brunch la domenica mattina ha l'effetto dell'MDMA, che non so quale sia ma dovrebbe essere molto piacevole dicono, buttarsi sull'erba di parco Sempione con le cuffie nelle orecchie e un panino con la mortazza è roba di mindfulness, la birra da bar Picchio è un cult alla Pulp Fiction, una torta ai mirtilli leggendo un libro da Gogol è poter morire in pace, un ballo con un vecchietto alla Balera dell'Ortica funziona più della Sertralina, bere un drink al Mag rimette in pace col mondo, tornare a casa con la 90 di notte e da sola è un'esperienza mistica, la migliore musica l'ho sentita passare solo da qui, Milano è Gauguin, Van Gogh, Matisse, Klimt e Modigliani tutti insieme in un giorno, è avere una macchina, un motorino e una bici anche senza averle, ed è incontrare persone eccezionali con le quali si può addirittura essere normali.

Milano è un vizio che non vuoi smettere, come un grande amore che non funziona, come il pezzo di cuore che lascio in via Savona, in quella casa al quarto piano aperta al sole, e a chi mi ha baciato solo per quella che sono.

Io non ho ancora imparato che qui devo chiedere un marocchino se voglio un espressino e devo dire brioche se voglio un cornetto, però l'attesa guardando quella valigia chiusa che non aveva un posto nel mondo e l'acqua salata sono state la mia cura, e mi hanno riportato il senso dei miei valori. Quelli che ho scritto su tre grucce appese al muro: Bellezza, Verità, Amore.

Ho chiuso la scuola, ho chiuso la terapia, ho chiuso il tirocinio, ho chiuso con La Storia e ho chiuso le storie aperte senza senso, chiuderò la porta di quella casa e chiuderò le valigie dei ricordi. Proprio io che con le chiusure sono sempre stata una schiappa.

Dagli errori ho imparato la differenza tra l'avere carattere e la prevaricazione, fra il diritto di critica e il non diritto di offesa, tra il lasciar correre e l'aggredire, tra gli eccessi e le giuste misure.

Resterò una che non sa darsi a metà, ma le piccole dosi sono un'arte che ripaga e soprattutto che protegge, e qui ho imparato che mandare in giro il cuore scoperto è rischioso, indipendentemente dal cielo che ho sulla testa.

Però sapete che c'è? Quando sono lì lì per mettermi quel maledetto golfino da raccomandazioni delle mamme del sud sulla porta, penso sempre al bambino di Mamma ho perso l'aereo, a quella scena in cui un bimbo di otto anni è il più saggio. Perché se hai dei pattini a rotelle che non usi perché hai paura si rompano, poi ti cresce il piede e addio.


Ci siamo capiti?

E' stata una missione esplorativa di enorme portata, mi sono sentita distrutta come il piccolo Oskar Schell cercando una "chiave" che non ha aperto niente o niente di destinato a me, e tutto per prolungare quegli otto minuti prima di accorgermi che il sole era esploso. Anche se sfinita e stanca non ho mai smesso di lottare, e quei minuti li avrei prolungati all'infinito, perché come ogni cosa, se vuoi crederci trovi sempre i motivi per farlo.

Ma un giorno di fine estate non ne avevo più, e lì ho capito che non dovevo più cercare: ero arrivata. Semplicemente.

Con il coraggio di sbagliare, la volontà di esserci e la responsabilità di scegliere non ho trovato chi stavo cercando, ma chi stava cercando me. Che come dice il buon Pessoa, bisogna fare dell'interruzione un nuovo cammino, della caduta un passo di danza, della paura una scala, del sogno un ponte e del bisogno un incontro.

Quindi, miei instancabili lottatori e ultimi romantici, il sesto distretto di New York esiste, ve lo assicuro, e l'averci creduto ne ha dimostrato soprattutto la sua umana eccellenza. Che forse servirà a poco, ma vale tantissimo!

Congratulazioni!

E' ora di tornare a casa.

Che è ovunque il cuore sia al caldo.


 
 
 

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